Ormai è risaputo che in Italia le leggi sono troppe, e che quelle che ci sono non sempre sono perfette. Si sa che arrivano spesso tardi, quando i fenomeni che dovrebbero regolare sono andati in metastasi e nessuno è più in grado di contenerli in termini di legge, e si sa anche che la struttura che dovrebbe far rispettare la legge è costruita in forme e modi che la rendono poco comunicante con lo spirito degli articoli della Costituzione. La burocrazia, con i suoi uffici, i suoi direttori generali, i suoi vezzi ed i suoi vizi, non è la camera di risonanza dei principi della legge, ma spesso è la camera a gas delle speranze e delle volontà dei legislatori. Consecutivamente in un modo o nell’altro, la gente si sente di andare contro tali norme e ordinanze propense al benessere pubblico, determinando l’origine di comportamenti illeciti e incivili capaci di rigenerarsi all’infinito. Ma, partiamo dal seguente ragionamento ideologico, cercando di ritrovare delle fondamenta in quello che è il rapporto governo-plebe: l’accostamento stato-popolo –si badi bene!–, costituisce una simbiosi di reciproco aiuto e rispetto, dove i ruoli di ciascuno per quanto camminano amorevolmente a braccetto, non si devono affatto intrecciare: il popolo deve fare il popolo, il governo deve fare il governo, ergo, non esiste che il popolo sopraffatto tragicamente dalla situazione di rassegnazione, porti se stesso contro le leggi rendendosi un “cittadino” credente di potersi governare autonomamente. Il voler trovare a tutti i costi degli ideali regolatori della propria vita andando contro quelli impartiti dal governo, ci porta in qualche modo a contravvenirgli e quindi a invadere il campo dello Stato sostituendoci ad esso. Certamente non sto affermando che non è permesso avere idee contraddittorie a quelle emanate dall’algoritmo governativo, sto solo citando uno dei principi unificanti della politica di una nazione, una filosofia più che altro che cementi il concetto che la scelta personale di trasgredire le regole ci condanni automaticamente al non avere per diritto la protezione dello Stato, ciò significa che nel momento in cui decidiamo di perseguire un percorso di regole illecite da noi stabilite, di certo non possiamo più aspettarci la tutela dello Stato in quanto ormai esso ci consideri non più appartenenti al circolo fiduciario stabilito in primo luogo fra noi e il governo. Ecco perché il non rispettare le leggi o ricorrere a “scorciatoie” per conseguire benefici a cui non si ha diritto sono senza dubbio comportamenti illeciti, che insidiano la convivenza civile.
Il famoso “mi manda papà” e il relativo scambio di favori è un fenomeno che si ritrova un po’ in tutto il mondo e in tutte le epoche. Ormai mi dà l’impressione che, oltre al curriculum e ai colloqui di lavoro devi presentare l’albero genealogico, perché solo dimostrando di discendere o di appartenere ad amici o familiari d’importanza rilevante potrai aspirare al posto di lavoro in questione. Cosa resta allora della meritocrazia? Diciamolo con schiettezza: il clientelismo e il nepotismo sono diventate prassi per costruire la propria realizzazione lavorativa e questo la dice lunga su quanto il nostro Paese non riesca a cambiare. Eppure se pensassimo che proprio quei lavoratori e vittime della anti-meritocrazia, che rivendicano il malaffare del clientelismo, provassero per una volta a fermarsi e a protestare, sarebbe il caos totale. Ma nessuno ha il coraggio di ribellarsi, tutti restano fermi in fila, intruppati, piegati e rassegnati, aspettando un posto su una scialuppa, prima che il mare lo inghiottisca per sempre.
“L’illegalità è come una piovra che non si vede: sta nascosta, sommersa, ma con i suoi tentacoli afferra e avvelena, inquinando e facendo tanto male”
(Papa Francesco)
Ma al di fuori di tutti questi insegnamenti che per civiltà dovrebbero essere diffusi al fine di dare onore alla parola “LEGALITÀ”, purtroppo alcuni studi mostrano che la maggioranza di coloro che hanno commesso ripetuti reati, anche dopo la prigione, continueranno a predare la comunità, e i costi dei danni arrecati continueranno ad essere enormi. Quindi, in vista del verdetto emanato dagli studi prima citati, mi sento di affidarmi alle forze della polizia il cui obiettivo dovrebbe essere solo ed unicamente quello di rendere una realtà di diritto e di fatto (piuttosto che una pallida possibilità) la pace, la sicurezza, il benessere pubblico e la giustizia: concetti e valori che ultimamente sembrano essersi persi di vista in quanto spesso le sentinelle delle forze dell’ordine sono sopraffatte dalla corruzione.
D’Ambrosio Vincenzo
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